sabato 16 febbraio 2008

Ratatouille, l'estasi alla portata di un topo



Ho visto finalmente Ratatouille e Remy l’amorevole topo nel quale nessuna traccia c’è di ratto immondo. Subito ti prende di simpatia per quegli abbandoni estatici che il suo strabiliante naso gli procura precipitandolo ogni volta in un voluttuoso trip quando accosta il sapore e d'intensità raddoppiata coi sapori combinati, eh sì le vie del sapore sono appaiate a quelle del sapere, si conosce con il naso e con tutti i sensi a raccolta. La storia va per quasi due ore e non ti pesa, segno sicuro della felice riuscita della pietanza film.
Siamo nella terra dei cuochi e gli ispiratori son più d’uno, certamente Antoine Careme, e siamo a Parigi una città speciale, patria adottiva e meta d'accoglienza degli esuli di ogni parte. Parigi scena elettiva di eventi rivoluzionari l’ultimo dei quali ha lasciato in deposito nell’immaginario collettivo un dettato che ha sconfinato dallo slogan. L' immaginazione al potere è anche in questo film. La forza e la bellezza del cimento, l’ardimento di provare, il coraggio di perseguire il sogno e su tutti l’ingrediente più innovativo: il nuovo viene dal diverso, a dare spazio ad un topo in cucina ci vuole fegato e cuore. Guarda caso che questo topo, il piccolo chef si fa alleato prezioso dell'imbranato giovane di belle speranze e sulle corde del cuore accadono altri contagi. Il più eclatante sarà riuscire a toccare le corde più intime del critico gastronomico e gourmet più duro de core de France, un cinico Anton Ego che si scioglierà assaggiando il piatto più semplice che ci sia, ratatouille di verdure (una sorta di caponata inclusiva di zucchine) il topino pur vispissimo in cucina, intuisce che per lui più non servono gli effetti speciali ma lo farà ineluttabilmente sprofondare in un tuffo quantico di nostalgia e memoria con la preparazione vegetale della sua amata mamma della sua sepolta infanzia. Ad Anton Ego, stufo di caviale beluga e strastufo di foie gras, brilleranno gli occhi della radiosità del tempo ritrovato e finirà disoccupato e felice, con un basco in testa in un bistrot e più nessuna stilografica Mont Blanc. E mangiarono tutti felici e contenti. Ma lo scontato lieto fine se è d'obbligo per rassicurare i piccoli, ancora una volta fa meditare i grandi che non conta quanta strada ma il come..

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Papavero ma che bellissimo post x un bellissimo film!
sapevo che ti sarebbe piaciuto!!!!
un abbraccio grandissimo
bargeld

papavero di campo ha detto...

ehgià! baci!

 
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