sabato 31 luglio 2010

Abruzzo. Mare. Sassi. Haiku, un vecchio haiku che m'è caro















raccolta infinita di sassi la mia negli anni e mai posso desistere,

sassi belli e bellissimi m'attraggono mi chiamano e calamitano le mani,

ognuno sa tentarmi a modo suo mediante mille richiami, le forme, le righe, i colori, le contaminazioni, i cerchi, le fessure, gli avvallamenti, ogni aspetto peculiare, la superficie, l'analogia con certe bizzarrie allusive, la tattilità ah la liscezza incomparabile di certe saponette sasso che promettono la più autistica delle gioie,

alcuni perché insistono e seppur fuor di fisima da catalogo hanno prontezza e dinamismo di farsi raccogliere, son simpatici questi tipi che sanno imporsi!

e la felicità improvvisa d'incappare nei sassi zen, in quei segni netti spennellati da quale calligrafo? allusivi ai ching del Libro dei Mutamenti, quelli sono un dono speciale,

di sassi ne ho a chili e dove metterò gli altri ancora?

i cesti sardi larghi e concentrici già ne ridondano, così ciotole coppe e vassoi,

ma non c'è limite alla mia fantasia d'una casa più capiente più accogliente che possa ospitarli tutti i miei sassi in uno spazio sacralmente loro: una hall dei muti sassi parlanti,

dove i racconti si snoderanno i sogni si srotoleranno come rotoli di games e i suoni del tempo si spanderanno e chi avrà orecchie per udire sentirà fino ad ascoltare..

eco e mormorio e testimonianza e traccia e vortice e semplicemente il succo del codice spaziotempo


Un haiku che m'è caro:


Nel frammento
è leggibile il tutto
nei sassi il mare.

(12 ottobre 2000)



venerdì 30 luglio 2010

Abruzzo. Terra. Schegge di terra























l'estate alita calda, il suolo scotta, il sole picchia, necessita un cappello,

girar girovagare ha una qualità euforica,

rinfrescarsi il sudore cercando l'ombra,

guardare attorno la desolazione accesa,

l'estate stordisce i sensi e aguzza il visus,

visualizzi ardentemente un frescobere

e il coktail sanpellegrino è un nettare d'indicibile piacere

quel ghiaccio nel bicchiere dalì nella trasparenza gaudì una botta estetica che t'esalta,





e ti ributti al sole, automa più felice



Abruzzo. Faro di Punta Penna chiama Faro di Ninopoli. "Avvento" una poesia di Fernanda Romagnoli













(sono volato da qua)


Avvento

Mi scinderò dalla perpetua danza,
dal flusso senza fine che mi porta,
creatura di lucente libertà
- io - che piangete morta.
Invaderò la casa: un solo giro
come fa il lampo.

In consistenza d'aria
assumerò il colore d'ogni stanza.
Senza toccar le cose - non ho mani -.
Senza lasciare firme sugli specchi
- non ho respiro -.

Vi stupirà la tenda
che ferma taglia un brivido,
il vermiglio tumulto dei gerani,
lo scompiglio dei libri nell'eremo
della scansia. Poi, subito riemersi
come statue da un vento:
« Che cosa è stato » attoniti
vi chiederete. Diletti, non v'offenda
se durerà il mio avvento solo l'attimo
di rifluire via.

Fernanda Romagnoli
da Il tredicesimo invitato
Garzanti


il faro di Punta Penna in terraferma a Vasto,

il faro di Ninopoli, in terra di Marche.

Si sono lanciati un richiamo via aere e via mare -stesso mare, e come in un balletto goldoniano si sono ossequiati, che onore di qua che piacere di là, ma come stai bene, ma come sei bello, ah tu svetti superbo, ah come ti dona la macchia..

allora eccoli qua alla vista generale al coram populo bloggomane, a quelli rimasti a quelli che passano per questo campo agli incalliti navigatori, a chi sniffa un odor di poesia.

la poesia è di Fernanda Romagnoli una sconosciuta poetessa italiana apprezzata da pochi intimi, critici e lettori, da me scoperta quindici anni fa sulla rivista Poesia quella edita da Nicola Crocetti.

Ieri per fortuito caso è tornata nei pensieri ed oggi annodo un filo ai due fari,

"creatura di lucente libertà" ecco il filo dell'unione



Abruzzo. Mare. Autoscatti di mare. Haiku " a quale meta"










A quale meta
va il cuore vuoto senza
assillo e peso?

(haiku del 30 ottobre 2000)



A quale meta
va il cuore vuoto senza
assillo e peso?


(haiku del 30 ottobre 2000)



giovedì 29 luglio 2010

Abruzzo. Ricetta di mare. Piccole palamite e cicale pescate nel Mar Adriatico

prima:






e dopo:







a riequilibrare una serie di inviti a pranzi e cene, mi faccio venire voglia un giorno di cucinare,

andare dal pescivendolo dalle mie parti è di sicura soddisfazione, il pesce è pescato nel mare di fronte, è un pesce piccolo, ha prezzi quasi irrisori,

l'affabilità del pescivendolo, nel mio caso, ci sono due pescivendole, ben disposte ad accontentarti e pulirtelo il pesce persino quello piccolo da frittura, incredibile vero?

vedo sul banco delle piccole palamite (ad un prezzo di tre volte inferiore a quello del mercato di San Lorenzo a Firenze) e subito m'accendo di entusiasmo, loro, le venditrici si sorprendono, aggiungendo "qui non va molto, non lo capiscono e non lo piglia nessuno" ma come? m'indigno! un eccellente pesce azzurro! "pensa che è pescato da noi in alto mare abbiamo le nostre barche lo sa?" sì certo mah si vede che qui sono abituati bene fin troppo bene dico per chiudere,

vedo le panocchie (o pannocchie) (o canocchie certo) insomma le cicale di mare rovesciate sul dorso con le loro mille zampettine all'aria a fremere di rabbia e di impotenza chissà, son vive vive,

una delle due mi dà la dritta di praticare un taglio sul dorso della panocchia e di farcirla con pangrattato e aromi, io le rivolgo un sorriso ma non sto a dirle che con me sfonda una porta aperta, l'idea di farcire il pesce per me è di default!

così procedo:

preparo una farcia di pangrattato, aglio senza abbondare e basilico che infilo nei tagli su dorso delle palamite e nell'incisione dorsale delle cicale,

non sto ad esagerare con gli aromi perché non voglio dissenso da mia zia, che ancora implacabile si premura di ripetermi d'un pollo da me cucinato a suo dire troppo carico di profumi,

ah ma io mica incasso e taccio, no, non mi par vero di farle notare che guarda caso esiste qualcosa d'altro oltre al duo di prezzemolo ed aglio, ma qui funziona che hanno certezze di granito e nessuno potrebbe scalfirle venisse pure lo chef degli chef a confutarle, loro (loro chi? ma loro certe zie di mia conoscenza) gli fa un baffo e fanno sicure e radiosamente ostinate come sempre hanno fatto, continuerebbero per trecent'anni, il guaio, il guaio vero è che non avvertono neanche alla lontana un vago bisogno di variante! e che gli fai? un po'le strapazzo pigliandole sadicamente in giro alla fine, in casa loro, piego il capo alla coccia più dura!

in teglia da forno, su carta da forno, irrorato il fondo di abbondante olio e in minor quantità di vino bianco (trebbiano)per circa 30 minuti tutti a 200 gradi,

questa ricetta vivaddio è andata bene risultando approvata ed apprezzata,

ah dimenticavo, buttando un'occhiata fuori scruto una pianta di giovane alloro e qualche fogliolina qua e là è ovvio che la metta,

l'alloro si sa in tutto ciò di culinario salato che vada in forno, ci sta d'incanto, fa il suo dovere regale e rilascia il suo segreto profumo principesco!



 
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