lunedì 31 marzo 2008
venerdì 28 marzo 2008
Il cuore di cioccolata è un top ovvero un’espressione superlativa
È uno dei dolci fondanti degli annali di casa.
Al pari della cicerchiata, dei tarallucci e delle nevole, il cuore appartiene alla cronaca di famiglia con la sua puntuale impeccabile partecipazione alla consuetudine rituale delle nostre vicissitudini.
Ogni famiglia ha il suo lessico, le sue reiterazioni, il suo identiricettario.
Nella familiare-autoreferenziale bolla mitologica, proprio quella lì, circoscritta a quel nucleo fisso di persone, si annida la propria storia, quella memoria corale, quella personale narrazione, quell’’identità tipicizzata che si svolge e si descrive anche nel campionario de-gustativo.
C’è stata la costruzione di un’impalcatura sensoriale cementata da imprinting e derivata dalla co-stituzione di un’essenza sensoriale comune di tipo familiare.
Un mix di sapori e di gusti impiantati, coltivati ed allevati nel recinto sensoriale di famiglia, un imbibimento in un humus culturale che non è stato soltanto parola afferente a linguaggi a climi ad atmosfere a registri emozionali di famiglia ma parimenti sono stati gesti, comportamenti, consuetudini, tessiture di orditi e trame e finanche di nodi e lacci avviluppanti -dai quali prima o poi si rese necessario tentare indi realizzare vitale separazione.
Da certi gusti e da certi sapori delle origini è difficile separarsi né è detto che lo si debba o lo si voglia o che si renda la necessità d’una tal evenienza almeno fino a quando c’è felice corrispondenza con la gradevolezza e con il vissuto gradito.
Nello stesso tempo nella propria storia evolutiva è accaduto di essersi affrancati da alcune abitudini e capisaldi che apparivano irrinunciabili, con il fiutare altri approcci, con l’esperire altre vie e con l’affidarsi al beneficio di altre e nuove acquisizioni.
Tornando a Bomba, cioè al cuore di cioccolata esso è un fondamento, per noi, di tale elevata portata che non ci passerebbe neanche lontanamente per la capa di pigliarne distacco oppure di sottometterlo a discussione né tantomeno di aggiungergli modifiche: sarebbe pura insensatezza per il banalissimo fatto che è perfetto così com’è nella sua ontologia così come nella formulazione, combinazione e sintesi alchemica dei suoi elementi. Tant’è vero che permane quale vetta.
Al pari della cicerchiata, dei tarallucci e delle nevole, il cuore appartiene alla cronaca di famiglia con la sua puntuale impeccabile partecipazione alla consuetudine rituale delle nostre vicissitudini.
Ogni famiglia ha il suo lessico, le sue reiterazioni, il suo identiricettario.
Nella familiare-autoreferenziale bolla mitologica, proprio quella lì, circoscritta a quel nucleo fisso di persone, si annida la propria storia, quella memoria corale, quella personale narrazione, quell’’identità tipicizzata che si svolge e si descrive anche nel campionario de-gustativo.
C’è stata la costruzione di un’impalcatura sensoriale cementata da imprinting e derivata dalla co-stituzione di un’essenza sensoriale comune di tipo familiare.
Un mix di sapori e di gusti impiantati, coltivati ed allevati nel recinto sensoriale di famiglia, un imbibimento in un humus culturale che non è stato soltanto parola afferente a linguaggi a climi ad atmosfere a registri emozionali di famiglia ma parimenti sono stati gesti, comportamenti, consuetudini, tessiture di orditi e trame e finanche di nodi e lacci avviluppanti -dai quali prima o poi si rese necessario tentare indi realizzare vitale separazione.
Da certi gusti e da certi sapori delle origini è difficile separarsi né è detto che lo si debba o lo si voglia o che si renda la necessità d’una tal evenienza almeno fino a quando c’è felice corrispondenza con la gradevolezza e con il vissuto gradito.
Nello stesso tempo nella propria storia evolutiva è accaduto di essersi affrancati da alcune abitudini e capisaldi che apparivano irrinunciabili, con il fiutare altri approcci, con l’esperire altre vie e con l’affidarsi al beneficio di altre e nuove acquisizioni.
Tornando a Bomba, cioè al cuore di cioccolata esso è un fondamento, per noi, di tale elevata portata che non ci passerebbe neanche lontanamente per la capa di pigliarne distacco oppure di sottometterlo a discussione né tantomeno di aggiungergli modifiche: sarebbe pura insensatezza per il banalissimo fatto che è perfetto così com’è nella sua ontologia così come nella formulazione, combinazione e sintesi alchemica dei suoi elementi. Tant’è vero che permane quale vetta.
Su questa ricetta mi riservo un po' di segretezza, però senza troppo dettagliare posso elencare i suoi ingredienti che combinati e trasformati danno luogo a 'sto mitico
C U O R E D I C I O C C O L A TA
Occorrono:
solo rossi d'uovo / cioccolato fondente di ottima qualità / cacao amaro / liquore Strega / caffè amaro /mandorle pelate abbrustolite leggere e triturate / farina / zucchero /cannella tritata / lievito per dolci-
Per la copertura:
altro cioccolato fondente disciolto e addizionato di olio e.v. d'o.
Che dice la pioggerellina di marzo?
(la foto è di un amico)
Che dice la pioggerellina di marzo,
che picchia argentina
sui tegoli vecchi
del tetto, sui bruscoli secchi
dell'orto, sul fico e sul moro
ornati di gemmule d'oro?
Passata è l'uggiosa invernata,
passata, passata!
Di fuor dalla nuvola nera,
di fuor dalla nuvola bigia
che in cielo si pigia,
domani uscirà Primavera
guernita di gemme e di gale,
di lucido sole,
di fresche viole,
di primule rosse, di battiti d'ale,
di nidi,
di gridi,
di rondini e anche
di stelle di mandorlo, bianche....
Che dice la pioggerellina di marzo,
che picchia argentina
sui tegoli vecchi
del tetto, sui bruscoli secchi
dell'orto, sul fico e sul moro,
ornati di gemmule d'oro?
Ciò canta, ciò dice:
e il cuor che l'ascolta è felice...
Angiolo Silvio Novaro
per assonanza con la poesia filastroccante della primavera danzante ho riacchiappato anche questa notissima poesia sempre di Angiolo Silvio Novaro molto presente nei sussidiari di una volta.
Tenerissima e onomatopeica poesia, è così bella!
O forse per via di un nostalgico tuffo in ricordi infantili, nella memoria familiare quando le poesie scolastiche diventavano recitazioni collettive!
giovedì 27 marzo 2008
Primavera vien danzando
Una filastrocca che m'è cara molto cara!
Dalle affabulazioni paterne, da quando eravamo piccole fino ad ora.
Sempre un frammento di narrazione scorrevole-piacevole!
Quando si dice che il web è cornucopia: mancavano all'appello della memoria alcuni versi e che piacere averla ritrovata tutta intera!
Ed in più la novità della strofa finale, che papà non ci ha mai detto, non la conosceva? o visto che parlava della mamma non gli si addiceva di recitarla?! fatto è che lui si limitava alle stagioni! E bene fece tanto gli ultimi versi sono melensi e ricattatori alla De Amicis!
La poesia-filastrocca s'intitola "Doni"
è di Angiolo Silvio Novaro (è lui che si chiedeva " Che dice la pioggerellina di marzo?")
Primavera vien danzando
vien danzando alla tua porta.
Sai tu dirmi che ti porta?
Ghirlandette di farfalle,
campanelle di vilucchi,
quali azzurre, quali gialle;
e poi rose, a fasci e a mucchi.
E l'estate vien cantando,
vien cantando alla tua porta:
Sai tu dirmi che ti porta?
Un cestel di bionde pesche
vellutate, appena tocche,
e ciliegie lustre e fresche,
ben divise a mazzi e a ciocche.
Vien l'autunno sospirando,
sospirando alla tua porta.
Sai tu dirmi che ti porta?
Qualche bacca porporina,
nidi vuoti, rame spoglie,
e tre gocciole di brina,
e un pugnel di foglie morte.
E l'inverno vien tremando,
vien tremando alla tua porta.
Sai tu dirmi che ti porta?
Un fastell d'aridi ciocchi,
un fringuello irrigidito;
e poi neve neve a fiocchi
e ghiacciuoli grossi un dito.
La tua mamma vien ridendo,
vien ridendo alla tua porta.
Sai tu dirmi che ti porta?
Il suo vivo e rosso cuore,
e lo colloca ai tuoi piedi,
con in mezzo ritto un fiore:
Ma tu dormi e non lo vedi!
La pigrizia in filastrocca
La Sollecitudine tra la Pigrizia (a sx) e l'Accidia.
(l'immagine e le note che seguono provengono da qui)
La Virtù tiene in mano un misuratore di tempo. L’Accidia, con le vesti stracciate e i capelli scarmigliati, è assorta in se stessa; meno interpretabile è la figura della Pigrizia, anch’essa in disordine nel vestito e nei capelli, con una scarpa e una calza nelle mani.
Questo affresco appartiene ad una serie di affreschi noti soprattutto per i cicli databili intorno alla metà del XV secolo, ospitati nella Sala degli svaghi e nella Sala dei vizi e delle virtù, nel castello di Masnago in area varesina.
Scoperti nel 1938, riportati in luce e restaurati a cura dell’allora proprietario del castello, Angelo Mantegazza, costituiscono un complesso decorativo peculiare e molto affascinante.
Gli affreschi si collocano nella tradizione del Gotico Internazionale, stile diffuso tra la fine del Trecento e la metà del Quattrocento nelle corti di tutta Europa. Le sale affrescate sono sette.
Stamani di punto in bianco m'è venuta a mente la filastrocca della pigrizia e me la sono recitata con un che di compiacimento. Mi piaceva un sacco, roba delle elementari.
Eccola:
(l'immagine e le note che seguono provengono da qui)
La Virtù tiene in mano un misuratore di tempo. L’Accidia, con le vesti stracciate e i capelli scarmigliati, è assorta in se stessa; meno interpretabile è la figura della Pigrizia, anch’essa in disordine nel vestito e nei capelli, con una scarpa e una calza nelle mani.
Questo affresco appartiene ad una serie di affreschi noti soprattutto per i cicli databili intorno alla metà del XV secolo, ospitati nella Sala degli svaghi e nella Sala dei vizi e delle virtù, nel castello di Masnago in area varesina.
Scoperti nel 1938, riportati in luce e restaurati a cura dell’allora proprietario del castello, Angelo Mantegazza, costituiscono un complesso decorativo peculiare e molto affascinante.
Gli affreschi si collocano nella tradizione del Gotico Internazionale, stile diffuso tra la fine del Trecento e la metà del Quattrocento nelle corti di tutta Europa. Le sale affrescate sono sette.
Stamani di punto in bianco m'è venuta a mente la filastrocca della pigrizia e me la sono recitata con un che di compiacimento. Mi piaceva un sacco, roba delle elementari.
Eccola:
La pigrizia andò al mercato
e un cavolo comprò,
mezzogiorno era suonato
quando a casa ritornò.
Mise l'acqua, accese il fuoco
si sedette, riposò.
Ed intanto, a poco a poco,
anche il sole tramontò.
Così, persa ormai la lena,
sola al buio ella restò
ed a letto senza cena
la meschina se ne andò.
martedì 25 marzo 2008
venerdì 21 marzo 2008
Acquerello + haiku " a primavera "
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